Malattia pagata? Ottieni di più, questo diritto non te lo toglie nessuno | Stai a casa e incassa lo stipendio
Scopriamo come funziona l’assenza prolungata per malattia. Per quanto tempo si può stare a casa? E che succede dopo? Siamo licenziabili?
E’ raro, rarissimo, ma può capitare che – a seguito di un infortunio o di una patologia grave – si sia costretti ad assentarsi dal lavoro per moltissimi giorni.
In genere, infatti, i periodi di malattia non superano mai la settimana o, al massimo, il mese. Una brutta influenza, una frattura scomposta ad una gamba – per fare due soli esempi – ci consentono di recuperare l’abilità al lavoro in tempi ragionevoli, ritornando così operativi e “in forza” all’azienda. Magari un po’ acciaccati, ma presenti.
Ma supponiamo che un evento – malattia o infortunio – ci costringa ad un lunghissimo periodo di assenza dal lavoro. Che succede in tal caso? Siamo forse licenziabili? O possiamo starcene a casa quanto è necessario senza rischiare alcunché? Vediamo di seguito cosa dice attualmente la normativa.
Ci stiamo riferendo, ovviamente, a forme di lavoro dipendente o assimilate, disciplinate dalla legge e da eventuali contratti collettivi nazionali: più precisamente, il tema riguarda operai ed impiegati. Per questi ultimi, a regolamentare il cosiddetto “periodo di comporto“, ossia il lasso di tempo nel quale il lavoratore assente per malattia ha diritto a conservare il posto di lavoro, c’è la legge.
La durata del periodo di comporto
Gli impiegati – fatte salve migliori condizioni di favore contenute nei CCNL – non possono assentarsi dal lavoro per malattia per più di tre o sei mesi, a seconda dell’anzianità di servizio, che deve essere, rispettivamente, inferiore o superiore ai dieci anni.
Per gli operai, invece, vale esclusivamente ciò che è riportato direttamente nel contratto collettivo nazionale di lavoro. Per fare un esempio, il CCNL Commercio determina un periodo di comporto, sia per operai sia per impiegati, di 180 giorni. Ma come si calcola tale periodo?
Comporto secco o comporto per sommatoria
I CCNL stabiliscono anche – e questo è bene saperlo – se il periodo di comporto vada considerato “secco“, ossia in relazione ad un unico ininterrotto periodo di malattia o “frazionato“, cioè sommando più eventi di malattia in un determinato arco di tempo.
Se, nell’uno o nell’altro caso, si supera il periodo di comporto concesso, il datore di lavoro ha facoltà di licenziare. Va ricordato però che è sempre possibile interrompere il periodo di comporto, in teoria anche più volte, ugualmente non recandosi al lavoro. Ad esempio, facendo richiesta al datore di lavoro di poter godere di ferie già maturate. E’ chiaro che, in tal caso, si tratta di una concessione da parte dell’azienda per cui si lavora, ma – se i rapporti sono buoni e trasparenti – non dovrebbero esserci motivi di diniego. Inoltre, come soluzione estrema, può anche essere richiesto un periodo di aspettativa, questa volta, però, non retribuita.