Il governo attuale ha definito da qualche mese le linee guida che indirizzeranno la nuova riforma fiscale. Ad oggi, cosa sappiamo?
La riforma del fisco italiano è al centro del dibattito politico praticamente da sempre. Quasi ogni governo del paese ne ha proposta una, ma per vari motivi le cose sono sostanzialmente rimaste le stesse, al netto di qualche piccolo aggiustamento.
L’ultima grande, vera riforma fiscale risale agli anni Settanta. E sostanzialmente il modello varato allora è quello che ancora è in vigore in Italia. In relazione alle imposte dirette – in particolar modo a quelle relative al reddito delle persone fisiche – vi sono stati comunque, nel corso degli anni, molti cambiamenti.
L’IRPEF del 1974 contemplava ben 32 aliquote progressive, dal 10% al 72%. Dal 1983 al 1989 gli scaglioni scesero a 9, per poi ridursi a 7 e – dal 2000 al 2021 – infine a 5. La progressività e l’equità del sistema impositivo è garantita invece, dal 1 gennaio 2022, dalle seguenti fasce e dalle rispettive aliquote:
Probabilmente uno dei motivi che rendono l’azione del governo attuale estremamente cauta nel procedere con la riforma è il monito dell’UE in relazione alla difesa del sistema fiscale progressivo.
L’obiettivo del governo di destra-centro è infatti giungere – in prospettiva – ad una tassazione fiscale diretta che preveda un’unica aliquota fiscale. Il termine inglese per designare questa modalità di prelievo fiscale è “flat tax“, “tassa piatta”.
Per giungere però a questo obiettivo finale – ambizioso ma probabilmente assai oneroso – la strada pare essere ancora lunga. Lo step intermedio è infatti l’ulteriore riduzione degli scaglioni attuali, da 4 a 3, con aliquote più basse. Il passaggio alla “tassa piatta” dovrebbe comunque in seguito garantire progressività ed equità grazie all’introduzione di meccanismi di prelievo incrementali e all’implementazione di un nuovo sistema di detrazioni/deduzioni.
Ma non c’è solo l’IRPEF nel disegno di riforma del fisco del governo Meloni. Altre imposte dovrebbero essere ridimensionate o addirittura, in prospettiva, abolite.
Una revisione profonda è prevista per l’IRES, l’imposta sui redditi delle imprese, attualmente al 24%. La riforma prevede di affiancare all’aliquota ordinaria anche una aliquota agevolata, da applicarsi nel caso in cui gli utili vengano reinvestiti in azienda (per acquisto di beni strumentali o per l’incremento dei posti di lavoro). A saltare, quantomeno in prospettiva, dovrebbe invece essere l’IRAP, imposta regionale su le attività produttive.