La possibilità di un aumento in busta paga porta alla protesta di una determinata categoria di lavoratori: ecco cosa sta succedendo.
Tra i tanti modi in cui si potrebbe ricevere un aumento in paga c’è anche quello di aggiungere i buoni pasto: si tratta di una proposta che non sempre viene accolta dai datori di lavoro in favore dei propri dipendenti.
Attualmente ad usufruire dei buoni pasto sono 3 milioni di lavoratori, per un valore complessivo di circa 3,2 miliardi: questi ticket non vengono utilizzati solo in sostituzione del denaro per il pagamento di ristoranti e tavole calde, ma anche per fare la spesa al supermercato.
Se per i dipendenti, sia pubblici che privati, i buoni pasto rappresentano un’ottima soluzione per risparmiare sul budget familiare destinato al cibo e alle bevande, oltre che per i generi di prima necessità di qualsiasi tipo, questi non rappresentano un vantaggio per i commercianti.
Sono molti, infatti, i negozianti che nel tempo si sono rifiutati di accettare i buoni pasto, a causa delle elevate commissioni d’incasso applicate sui ticket, che vanno dal 10% al 20% del valore complessivo del buono in questione.
La richiesta di pagare in buoni pasto mette in difficoltà i commercianti che vedono diminuita notevolmente la possibilità di guadagno e mette in difficoltà anche i lavoratori, che non riescono a trovare facilmente degli esercizi commerciali in cui spendere i buoni pasto che ricevono in busta paga. Sia gli esercenti che i rappresentanti della grande distribuzione hanno denunciato più volte la presenza di commissioni insostenibili: per ogni 8 euro di buono ricevuto, l’incasso reale equivale a poco più di 6 euro.
La protesta è arrivata da Confcommercio Fipe, Fida Confesercenti, Federdistribuzione, Coop e Ancd Conad che chiedono una totale riforma del sistema. Ci sono state, quindi, diverse giornate di sospensione dell’accettazione dei buoni pasto. Bar, ristoranti, negozi di alimentari, supermercati e ipermercati hanno chiesto più volte al Governo di trovare una soluzione per tutelare i propri guadagni e al tempo stesso garantire la possibilità di usufruire di un importante servizio previsto per milioni di lavoratori italiani.
La riforma dovrebbe stravolgere un sistema, quello dei Buoni Pasto in Italia, che impone commissioni non eque, le più alte d’Europa, che si avvicinano al 20% del valore nominale del buono pasto. Da queste condizioni onerose nasce l’esigenza di rivedere la modalità di erogazione dei buoni pasto.
Tra le proposte avanzate c’è quella di caricare l’importo del valore dei buoni pasto direttamente in busta paga in forma liquida, in modo da lasciare al lavoratore la scelta di spendere questa somma di denaro a seconda delle proprie necessità. Questo importo, però, dovrebbe essere esente da tassazione, in modo da permettere ai dipendenti di ottenere un aumento in busta paga necessario a contrastare l’aumento dei prezzi dovuto all’inflazione.